La Falange Armata. Introduzione al libro (Falcone e Borsellino)

La Falange Armata. Introduzione al libro

Questa è una vicenda incredibile, sconosciuta, tenuta nascosta, che riscrive la storia contemporanea del nostro Paese. Con un avvertimento, più che una avvertenza. È difficile entrare nella logica di questi fatti e, soprattutto, delle relative strategie, abituati come siamo a un mondo ormai diverso, anche se prima il covid e poi Putin ci hanno abituato di nuovo a immaginare l’inimmaginabile. E anche se l’Italia, da sempre, è il Paese della disputa e ci dividiamo su tutto, bisogna entrare nell’ordine delle idee che lo scontro raccontato in questo libro è tutt’altro perché si consuma ferocemente sulle fondamenta stesse della Repubblica e sulla pelle di innocenti e di eroi borghesi. Perché verte sulla deriva plebiscitaria e personalistica, refrattaria ai meccanismi democratici, che certi uomini delle istituzioni – più fedeli alla loro idea di Stato che a quella sancita dalla Costituzione – hanno voluto imporre al nostro Paese. Così, entrando nell’incredibile e nel nascosto, succede che nell’Italia della seconda metà degli anni Ottanta si costituisce una rete eversivo-terroristica di “menti raffinatissime”, composta da una cinquantina di persone – agenti segreti, forze dell’ordine, malviventi, torbidi affaristi – che a partire dal 1985 tesse le trame più nere per quasi un decennio. Inizia a seminare terrore dall’’87. Prende il nome di Falange Armata nel ’90. E stringendo anche un’alleanza con le cosche mafiose, con omicidi, attentati e stragi, comprese quelle del ’92 e ’93, mina le basi della Prima Repubblica.

Perché il progetto di questo consorzio criminale non è stato contrastato dallo Stato?

Prima di spiegarlo vale la pena di fare un percorso cronologico sulla storia della Falange Armata e sulla crescita progressiva della sua attività, che ha accompagnato il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. La Falange Armata opera annunciando omicidi, attentati e stragi che vengono commessi dagli stessi falangisti, da piccoli delinquenti, dalle consorterie criminali in combutta con agenti dei servizi segreti, per arrivare a Cosa Nostra, con cui la Falange Armata stringe un’alleanza terroristica contro lo Stato. A ciascuna azione, segue una rivendicazione in cui i falangisti, da un lato amplificano il clima di paura, dall’altro enunciano la propria programmazione politica e strategica.

IL PRELUDIO: UN “DREAM TEAM” DELLE MAFIE GUIDATO DA UOMINI DEI SERVIZI SEGRETI

È la Banda delle Coop. Sono catanesi del clan dei Cursoti la cui base è a Milano nell’autoparco di via Oreste Salomone, dove regna una alleanza – un “consorzio eversivo” per gli atti giudiziari – fra Jimmi Miano, il capo dei Cursoti, e ’ndranghetisti, camorristi e pugliesi della Sacra Corona Unita. Guidati da uomini dei servizi segreti, i banditi intercettano tre fratelli, di cui due poliziotti – sì, i fratelli Savi – che fanno piccole rapine ai caselli autostradali. Li ricattano per farsi affittare le loro armi personali e fare rapine ai furgoni blindati mentre prelevano gli incassi ai supermercati Coop di Bologna e della Romagna. Dicono di non avercela con le vittime, ma con lo Stato, però, dal 30 gennaio ’88, lasciano sul campo cinque morti e 57 feriti in un assalto a un ufficio postale di Bologna a gennaio del ’90. Due mesi dopo i presunti componenti della Banda delle Coop vengono arrestati e condannati in primo e secondo grado dalle Corti d’Assise di Bologna, ma alla fine del ’94, le fantasmagoriche dichiarazioni dei fratelli Savi porteranno alle loro assoluzioni. Dopo gli arresti, però, forse non casualmente, scompaiono gli assalti alle Coop con quella metodologia operativa. E l’11 aprile del ’90, dall’autoparco di via Oreste Salomone, proprio dalla base degli innocenti componenti della Banda delle Coop, inizia una campagna del terrore da rivendicare con una sigla che, pochi mesi dopo, sarà quella della Falange Armata. E, con essa, a Bologna e in Romagna, tornano a sparare e uccidere le stesse armi che avevano sparato negli assalti alle Coop.

LA PRIMA FASE: IL FINE ULTIMO, LA SCOMPARSA DELLA CLASSE DIRIGENTE AL POTERE IN ITALIA

Conta sedici omicidi. Il primo, tristemente famoso, è quello dell’eroe borghese Umberto Mormile. Anche gli altri sono altrettanto tristemente famosi e li troverete nel libro. Qui vale la pena ricordare la vicenda terribile e ormai dimenticata del brutale omicidio di Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, avvenuto a Catania il 31 ottobre del ’90.

Alessandro Rovetta era nato a Brescia da una famiglia di imprenditori che aveva investito a Catania. I Rovetta erano azionisti di maggioranza delle Acciaierie Megara, il più importante polo siderurgico siciliano. Alessandro, dopo gli studi, raggiunge la famiglia che si era trasferita nella città etnea. Dopo la morte del padre prende in mano l’azienda di famiglia. Avvia un’importante opera di ammodernamento; sostituisce il vecchio dirigente, valorizzando il ruolo e la professionalità di Francesco Vecchio, direttore del personale, cui viene affidato un maggior controllo delle risorse umane e delle aziende dell’indotto.

Alessandro e Francesco non intendono cedere a compromessi, cercano di vederci chiaro e di allontanare tutto ciò che in azienda ha odore di mafia. Inevitabilmente i pochi mesi che accompagnano l’opera di pulizia sono segnati dalle costanti minacce nei confronti loro e delle famiglie, fino alla sera del 31 ottobre. Al termine della giornata di lavoro, mentre tornano a casa, con l’auto condotta da Francesco, una tempesta di proiettili li sfigura. Pochi giorni dopo l’omicidio, il vecchio dirigente sostituito da Francesco riprende il suo posto nelle acciaierie; la famiglia Rovetta si trasferisce a Brescia; e nessun processo è stato nemmeno promosso.

La prima fase vede il suo culmine programmatico nel comunicato del primo marzo ’91, dove la Falange Armata dichiara il suo fine ultimo: la scomparsa della classe dirigente al potere in Italia.

È la fase in cui la Falange diviene famosa con gli assalti ai campi nomadi a Bologna e Albenga, l’eccidio dei carabinieri al quartiere Pilastro di Bologna, l’omicidio dei coniugi Fioretto a Vicenza. E con gli attentati ai carabinieri a Rimini il 30 aprile ’91 e il duplice omicidio dell’armeria a Bologna del 2 maggio ’91.

LA SECONDA FASE: LA MAFIA ADERISCE AL PROGETTO EVERSIVO FALANGISTA

La Falange Armata, con una serie di delitti, continua a utilizzare l’Emilia-Romagna come trampolino di lancio mediatico della propria azione, ma agisce anche in altre regioni. Vengono compiuti cinque omicidi, insieme a molti attentati, con sola finalità terroristica. È il periodo dedicato alla creazione di alleanze con organizzazioni criminale e terroristiche italiane e straniere. Difatti dal 27 maggio al 22 agosto ’91, assieme all’organizzazione terroristica basca Eta, compie una serie di attentati contro obiettivi spagnoli in tutta Italia. E il senso della seconda fase è riassunto nel comunicato del 17 giugno ’91, quando la Falange Armata annuncia imminenti azioni terroristiche – tant’è che due giorni dopo, a Cesena, sarà assassinato Graziano Mirri –, e indica le città e le regioni che considera di particolare interesse strategico: Milano, Roma, Emilia-Romagna e Sicilia. Mentre l’omicidio del giudice Scopelliti del 9 agosto ’91, di cui non rivendica la materiale esecuzione, ma solo la paternità politica e morale, è lo snodo che consente alla Falange Armata un ulteriore cambio di passo, perché è il segno tangibile della adesione delle cosche mafiose – che eseguono l’omicidio – al progetto eversivo falangista. Poco dopo, la seconda fase si conclude con l’annuncio della messa in disarmo del commando che, fino a quel momento, ha agito in Emilia-Romagna.

LA TERZA FASE: LA GUERRA ALLO STATO CON LA SIGLA FALANGE ARMATA

Inizia con una serie di comunicati nel settembre ’91 sulla militarizzazione di tutto il territorio nazionale. Militarizzazione che nel gergo falangista significa uccidere e terrorizzare. Il 28 settembre ’91 si tiene una riunione epocale alla Madonna dei Polsi, a San Luca, in provincia di Reggio Calabria. Vi partecipano tutti i capi della ’ndrangheta, esponenti di Cosa Nostra americana, della Camorra e della Sacra Corona Unita. E da parte delle cosche mafiose si parla apertamente di attacco allo Stato. Esaurita l’azione in Emilia-Romagna e in attesa delle decisioni di Cosa Nostra siciliana, la Falange Armata accredita la propria capacità di militarizzare il Paese con omicidi e attentati in tutta Italia. Tra l’ottobre ’91 e il marzo ’92, insieme a due gravi attentati, compie otto omicidi. E nel corso di una serie di riunioni per lo più in provincia di Enna, i capi di Cosa Nostra pianificano la guerra allo Stato progettando delitti clamorosi che dovranno essere rivendicati con la sigla Falange Armata. La militarizzazione della Sicilia nel’ 92 è un ricordo collettivo, prima con gli omicidi di Salvo Lima e di Giuliano Guazzelli, poi con le stragi di Capaci (del 23 maggio) e di via D’Amelio (del 19 luglio). I falangisti, in coerenza con le decisioni di Enna, rivendicano i crimini assumendone la paternità politica e morale, ma non quella militare. E nella rivendicazione della strage di via D’Amelio, la Falange Armata anticipa che entro un anno sarà completato il progetto eversivo unitario in corso, comunicando che saranno colpite Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna e Lazio.

LA QUARTA FASE: VENGONO SCIOLTE LE CAMERE E LA FALANGE ARMATA CELEBRA LA PROPRIA VITTORIA

La Falange Armata – tra il ’93 e il ’94 – scuote le fondamenta della nazione, prima con l’attentato a Maurizio Costanzo, poi con la strage di via dei Georgofili a Firenze e le bombe di via Palestro a Milano, nonché quelle di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma, nella notte fra 27 e 28 luglio ’93.

Nei mesi successivi, la Falange Armata, insieme a Cosa Nostra, minaccia un attentato ai danni dei carabinieri di vigilanza allo stadio Olimpico. Un commando mafioso è pronto a operare al termine della partita Roma-Lazio del 24 ottobre ’93, ma un contrordine lo richiama a Palermo. In quello stesso periodo il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, è oggetto di gravi minacce anche nei confronti della figlia Marianna e di violente accuse per un suo presunto coinvolgimento nello scandalo dei fondi neri del Sisde. Scalfaro, il 3 novembre, parla alla nazione con un fragoroso “Io non ci sto”, in cui accosta lo scandalo dei fondi neri alle bombe. Nello stesso giorno, il Ministero della Giustizia fa scadere senza prorogarli 334 decreti di carcere duro. 

La Falange Armata si sente legittimata e parzialmente soddisfatta. Così dall’ottobre ’93 cessano i comunicati programmatici. Scalfaro, tuttavia, non accoglie due richieste: la risoluzione generale del regime carcerario aggravato e lo scioglimento delle Camere. La prima richiesta non è mai stata accolta, mentre le Camere vengono sciolte il 16 gennaio, data che segna la fine della Prima Repubblica. L’ala stragista di Cosa Nostra non è contenta e il 23 gennaio ’94 tenta l’attentato all’Olimpico, già programmato per il mese di ottobre, che fallisce. Forse per miracolo o forse, più probabilmente, per un boicottaggio della stessa Falange Armata, che ormai ha raggiunto i suoi obiettivi. Il giorno dopo, Silvio Berlusconi annuncia la sua discesa in campo. Due giorni dopo, Giuseppe Graviano, che aveva organizzato il fallito attentato all’Olimpico, viene arrestato da un clamoroso blitz dei carabinieri, mentre cena con il fratello Filippo in un elegante ristorante di Milano.

La Falange Armata, prima delle elezioni del 27 marzo ’94, data fissata per le Politiche con il decreto del 16 gennaio di scioglimento delle Camere, annuncia la sospensione delle attività. Nello stesso comunicato si dichiara convinta che il popolo italiano le sarà grato, gli augura un “sereno futuro” e celebra la propria vittoria.

LA FINE, L’INIZIO: I FALANGISTI SONO ANCORA TRA NOI

La Falange Armata accompagna il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica attraverso una strategia unica nella storia d’Italia, con omicidi, stragi e attentati compiuti da una eterogenea alleanza eversivo-terroristica contro lo Stato, insieme a una campagna di comunicazione originalissima e destabilizzante, rivolta in parallelo all’opinione pubblica e a una platea di interlocutori interessati.

Prima ci siamo chiesti: Perché il progetto di questo consorzio criminale non è stato contrastato dallo Stato?

Adesso è venuto il momento di rispondere.

Perché, purtroppo, parti dello Stato erano interne a questo progetto criminale, con la probabile compiacenza – come d’altronde è sempre avvenuto dal dopoguerra in poi – degli Stati Uniti d’America. La volontà delle istituzioni di non dare credito alla Falange Armata – in buona o cattiva fede – ha fatto sì che ci si concentrasse soltanto sui singoli fatti, che in quanto tali, non hanno mai portato a nulla, se non all’arresto, nei casi più fortunati, di alcuni esecutori materiali. E non sulla strategia complessiva, l’unica via per dare un senso pieno ha tutto ciò che vi ho appena descritto.

Non contrastarla, ha consentito alla Falange Armata non solo di vincere la sfida con lo Stato, di cui ha divelto la classe politica dirigente, ma addirittura di mantenere il totale anonimato dei suoi adepti, senza che ne fosse inquadrato fisicamente nemmeno uno.

Come se la lista della P2 non fosse mai stata scoperta, come se non fosse mai stato scoperto l’Anello, l’agenzia supersegreta al servizio dei servizi segreti, i falangisti sono entrati nella Seconda Repubblica non solo mantenendo i loro ruoli di funzionari nelle istituzioni e nei servizi segreti ma, molto probabilmente, guadagnandone altri, ben più importanti, come minimo nell’indifferenza di chi doveva contrastarli. E tutto questo, ancora oggi, fa venire i brividi.

© Michele Mengoli

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